mercoledì 16 aprile 2008

Il Commissario Ingravallo prossimo mio



Compiuti da poco i trentacinque anni, divento coetanea del commissario-filosofo.

Tutti ormai lo chiamavano don Ciccio. Era il dottor Francesco Ingravallo comandato alla mobile: uno dei più giovani e non si sa perchè, invidiati funzionari della sezione investigativa: ubiquo ai casi, onnipresente su gli affari tenebrosi.
Di statura media, piuttosto rotondo della persona, o forse un po' tozzo, di capelli neri e folti e cresputi che gli venivano fuori dalla metà della fronte quasi a riparargli i due bernoccoli metafisici dal bel sole d'Italia, aveva un'aria un po' assonnata, un'andatura greve e dinoccolata, un fare un po' tonto come di persona che combatte con una laboriosa digestione: vestito come il magro onorario statale gli permetteva di vestirsi, e con una o due macchioline d'olio sul bavero, quasi impercettibili però, quasi un ricordo della collina molisana. Una certa praticaccia del mondo, del nostro mondo detto "latino", benchè giovine (trentacinquenne), doveva di certo avercela:una certa conoscenza degli uomini: e anche delle donne. (...)

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